Genius Loci
Incontrare Roma significa andare alla ricerca del cuore pulsante del genius loci di Roma antica, l’idea che ancora oggi significa civiltà nel mondo.
Roma antica è anzitutto una città, Roma è l’Urbe, è la civitas dove fare ed essere società. Roma era stata pensata e costruita per essere bella e funzionale per i suoi cittadini.
Il cittadino romano è anzitutto un uomo che indossa diverse vesti: quella militare quella politica, quella forense, quella artistica, quella agricola, quella artigiana. Comunque sia, ogni sua attività viene finalizzata alle esigenze di dominio, sia privato che pubblico: il cittadino romano incarna il concetto di Dominus, di signore responsabile del suo mondo. Ciò che prevale nelle testimonianze artistiche sono gli aspetti estetici, pratici e celebrativi.
Il fine estetico, la ricerca del bello, ha per i romani un significato diverso da quello che aveva per i greci e non è mai disgiunto da un fine pratico: di qui l’indiscussa personalità, nell’espressione artistica e nelle scienze architettoniche e urbanistiche dei romani, che offrono un’enorme utilità pratica nell’organizzazione razionale della grande estensione dei territori sotto il loro dominio.
Strade e ponti, fori e scuole, acquedotti e fognature, bagni e terme, teatri e anfiteatri, templi e circhi, colonne e archi commemorativi di vittorie militari rappresentano il culmine della produzione architettonica urbanistica romana.
Come è evidente ancora oggi, le strutture architettoniche ed urbanistiche venivano incontro ai bisogni della popolazione, per cui dovevano presentare criteri di funzionalità e praticità. Ma la cosa straordinaria è che furono edificate così bene da essere utilizzate ancora ai giorni nostri.
Tecnicamente gli architetti romani si servivano principalmente di due tipologie costruttive che differenziano la loro produzione da quella greco-classica: la muratura e l’arco.
La muratura è l’utilizzo di materiali come il mattone cotto nelle fornaci, non conosciuto dai greci, che veniva abbinato al cemento e che permetteva la costruzione di alte masse murarie in grado di sopportare enormi pesi.
L’arco invece permetteva di coprire ampi spazi vuoti e ammorbidire l’estetica di alcune strutture a volte troppo angolari. Proprio l’arco a tutto sesto, che già in parte gli etruschi usavano, è il principale segno caratteristico dell’architettura romana.
Gli archi si accompagnano quasi sempre alle colonne e vengono usati dai romani anche come monumenti, per ornamento della città, con un certo valore simbolico: l’arco è simbolo di trionfo del condottiero e la colonna è un monumento commemorativo delle grandi imprese di Roma.
Dal punto di vista urbanistico la città romana rispecchia il tracciato di un accampamento militare: una scacchiera di strade che si intersecano perpendicolarmente, impostate sulla croce di due vie principali, chiamate cardo e decumano.
Il centro della città è costituito da una piazza, sulla quale si affacciano i principali edifici pubblici, sedi di attività politiche, amministrative, commerciali e religiose. Ancora oggi molte città europee conservano questa struttura e altre nel mondo vengono ideate con lo stesso criterio. Lo spazio interno della città è enorme, imponente, come se volesse esprimere la stabilità dello Stato ed affermarne la potenza e l’immutabilità.
Roma sviluppò un consistente impianto stradale che seguì l’espansione territoriale dello stato romano. Verso la fine dell’età repubblicana la rete stradale già collegava Roma con tutte le principali città della penisola italica ed in età imperiale essa raggiunse anche nelle province la capillarità che aveva in Italia con un’estensione complessiva di oltre 120.000 km.
Ogni strada importante aveva il suo “curatore”, cui era affidata la totale responsabilità della gestione, che poteva occuparsi anche di più strade. I nomi delle strade dipendevano spesso dalla loro funzione: ad esempio la via Salaria era la “via del sale” quindi una vera e propria arteria commerciale.
La costruzione vera e propria di una strada doveva essere preceduta dallo studio della morfologia del terreno interessato, in modo da appurare la necessità di eventuali opere di difesa o di consolidamento per proteggere l’infrastruttura sia dalle infiltrazioni d’acqua superficiali sia dalle sollecitazioni e dalle spinte laterali che esse avrebbero potuto subire in seguito a frane, movimenti sismici ed alluvioni.
Quasi sempre le strade venivano pavimentate con lastre di pietra poligonali e diseguali di basalto o di calcare, spianati nella parte superiore e profilati in quella inferiore a cuneo, accostate accuratamente. Inoltre, le strade dovevano garantire il passaggio di due carri contemporaneamente.
Le distanze sulle strade venivano indicate da grandi pietre conficcate nel terreno a lato della strada alla distanza di un miglio l’uno dall’altro e perciò dette “pietre miliari”. Roma quindi era collegata con l’intero mondo allora conosciuto. E la maggior parte di quelle strade, sebbene modernizzate, esistono ancora oggi.
Altra ricchezza di Roma erano gli stabilimenti termali sia pubblici che privati. La loro costruzione, che modificò l’assetto urbanistico della città, fornì l’opportunità a coloro che li frequentavano di svolgere una vita relazionale proficua soprattutto per lo sviluppo degli affari. Nelle terme era possibile bagnarsi in tre momenti corrispondenti a diverse temperature dell’acqua: calda, tiepida e fredda.
In epoca imperiale furono costruiti veri e propri complessi termali aperti a tutta la popolazione senza alcuna distinzione di censo. I locali erano inoltre abbelliti da marmi e piastrelle decorative, intorno c’erano biblioteche e palestre e giardini ornamentali. Un vero piacere per il corpo, per gli occhi e per la mente.
Un altro problema che non sfuggì all’intelligenza dei romani fu quello di allontanare le proprie deiezioni sia per la conservazione dell’igiene del proprio territorio che per la preservazione dalle malattie o, molto più semplicemente, per evitarne il fetore. Così iniziò la costruzione dei condotti fognari: le cloache.
Inizialmente erano canali a cielo aperto e seguivano l’andamento contorto dei corsi d’acqua e dei torrenti affluenti il Tevere, poi la crescita della città impose la copertura dei canali. La più famosa, la Cloaca Massima, ha le pareti in blocchi di pietra; lungo il percorso vi sono delle aperture da cui si immettono fogne minori sempre ricoperte.
I tombini in genere, erano posti a poca distanza l’uno dall’altro, e corredati di ottimi bassorilievi in marmo di cui, il più famoso, è sicuramente quello che si conserva nell’atrio della chiesa di S. Maria in Cosmedin, meglio conosciuto come “la bocca della verità”. Insomma, anche le fogne richiedevano la loro estetica. Tecnicamente sarebbero ancora funzionanti ma naturalmente la modernità ha richiesto nuove strutture a fronte delle regolamentazioni sulle norme igieniche.
Per quanto riguarda le opere monumentali, il tempio romano ha caratteristiche riprese dai templi corinzi o etruschi, ma con una fondamentale differenza: la tradizione greca modella gli edifici in modo plastico e impatta visivamente soprattutto per gli “esterni”, ha un carattere rettilineo possiede elementi verticali delle colonne ed elementi orizzontali delle trabeazioni.
La tradizione romana invece definisce soprattutto gli “interni”, modellandone lo spazio con le morbide curve disegnate dagli archi e dalle volte, ed è per questo che gli elementi greci, come la colonna e le trabeazioni da elementi strutturali diventano semplici decorazioni.
I Fori invece dovevano rappresentare le qualità principali dell’arte romana: il perfetto connubio tra funzionalità ed estetica. Osserviamo infatti elementi come il dominio dello spazio, la solidità dei volumi e la potenza scenografica. Dispiace che i resti monumentali a nostra disposizione siano scarsissimi, a causa dei continui saccheggi che nei secoli hanno subito per la loro ricchezza di marmi e metalli preziosi.
I Fori comunque erano sede dell’amministrazione giudiziaria romana e luoghi d’incontro per gli affari. Nelle piazze forensi spesso sorgevano magnifiche Basiliche, solitamente di pianta rettangolare circondata da file di colonne e centri di intense attività commerciali.
Il problema più difficile che gli urbanisti dovevano affrontare a Roma era quello abitativo, poiché migliaia di persone vi giungevano continuamente con la speranza di trovare nuove occupazioni o di sfuggire alla miseria. D’altra parte l’attenzione alle strutture abitative era già una necessità inderogabile prima della costituzione dell’Impero. Roma, infatti, aveva già un milione di abitanti.
Per la plebe venivano erette le insulae, edifici a più piani con una pianta di circa 300 mq e uno sviluppo verticale di circa 18-20 metri. Vi ci vivevano, in piccoli locali, molte persone. Si accedeva ai piani superiori (i cenacula), attraverso strette e ripide scale comuni, per consumare i pasti o per dormire. Le stanze prendevano luce da un cortile interno e dalle finestre aperte sulle vie. Al piano terra in genere erano collocati i negozi e i laboratori artigianali.
I ceti sociali più ricchi vivevano invece nella domus, un’ampia casa riservata a una sola famiglia, con più stanze destinate a diverse funzioni. Se la domus era in campagna veniva chiamata villa, che veniva costruita in zone dalla ampia visibilità ed era dotata di ogni comodità: terme, giardini, biblioteche, etc.
La villa era circondata da ampi porticati ed era per antonomasia il luogo dedicato o al lavoro intellettuale o al vero e proprio “ozio” (in latino: otium), cioè il momento di rigenerazione prima e dopo il lavoro chiamato invece “negozio” (in lat. nec otium e cioè “non ozio”). Ai lavori agricoli e artigianali provvedevano i fattori e gli schiavi dei quali avevano cura i padroni stessi.
Luogo di divertimento per i romani era l’anfiteatro, dove si svolgevano i giochi, le gare atletiche, le sfide tra i gladiatori, la lotta con le bestie feroci. L’anfiteatro aveva forma ellittica e si sviluppava in altezza, talvolta su tre ordini. Poteva contenere migliaia di spettatori: l’anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo, aveva una capacità di circa 50.000 persone.
Un altro luogo di divertimento per i romani era il circo: qui si svolgevano le corse dei carri trainati dai cavalli o addirittura venivano inscenate battaglie terrestri o navali. E già all’epoca esistevano le fazioni dei sostenitori che tenevano per i diversi corridori, come un’antica torcida. Anche la forma dei circhi era ellittica ma molto più allungata rispetto a quella dell’anfiteatro. Tra gli esempi più significativi il Circo Massimo e il Circo Agonale (la “nostra” Piazza Navona).
C’erano poi i teatri; va sottolineato che la rappresentazione teatrale aveva per i romani una funzione ludica, diversa da quella sacra e rituale che aveva avuto in Grecia. Gli attori erano spesso degli schiavi o dei liberti.
A Roma abbondano le opere di carattere celebrativo. Attraverso grandi sculture vengono raccontatate le vittorie di Roma nelle imprese militari, valga come esempio la Colonna Traiana. In effetti, i romani usavano l’immagine anche come una sorta di pubblicità, ben sapendo che è un mezzo di comunicazione più semplice e immediato della parola.
Ma la usavano sempre col gusto della funzionalità e dell’estetica. Un esempio di questa maniera, detta della rappresentazione continua, è appunto quello della già citata Colonna Traiana: una sorta di antico “film” contenuto in una fascia che si snoda per più di 200 metri a spirale sulla superficie della colonna dove vengono narrate le vicende della vittoria sui Daci.
L’arte diventa anche uno strumento per la manifestazione del potere di Roma. L’imperatore Augusto fu il primo a intravedere nella cultura e nell’arte una forma di propaganda celebrativa del primato politico-militare dell’impero: in suo onore furono eretti nelle province numerosi archi di trionfo.
Roma che era rimasta abbagliata dalle opere architettoniche e scultoree della Grecia, voleva dimostrare di essere l’erede legittima della civiltà ellenica. Qualunque imperatore, se voleva impressionare l’immaginazione delle masse, doveva essere presentato di proporzioni gigantesche, con un corpo atletico, in atteggiamenti retorici e accattivanti.
Un altro elemento molto diffuso nel mondo romano è quello dell’arte musiva come la pittura sul vasellame o la pavimentazione delle stanze con mosaici. Soprattutto i mosaici dovevano colpire per la precisione del disegno e per la ricchezza di toni e di tinte. A conferma che a Roma trova inizio il senso dell’architettura degli interni.
Questo dunque è il paradigma architettonico del genio romano. Basti pensare che Roma, ogni volta che ultimava una conquista militare, si curava principalmente di tracciare e di pavimentare le strade, di rifornire le città di abbondante acqua, di innalzare ponti, di costruire servizi igienici pubblici come terme, bagni e fognature, di istituire scuole e luoghi per gli affari, di creare un habitat civile per i nuovi cittadini del mondo romano.
Per provvedere allo sviluppo del loro genio intellettivo, i Romani, nel corso dei secoli, organizzarono un sistema di educazione dei giovani che cominciava intorno ai sette anni. Senz’altro dobbiamo aspettare l’impero per avere le prime scuole vere e proprie, fino ad allora infatti si studiava solitamente in casa con un precettore.
I bambini romani cominciavano la loro formazione nei ludi litterarum o tabernae letterarie, che più o meno corrispondono alle nostre scuole elementari. Il primo maestro insegnava a leggere, a scrivere e a fare i primi conti. Altri maestri insegnavano l’aritmetica e provvedevano a portare a compimento l’apprendimento della lettura e della scrittura. Le lezioni si svolgevano sia nelle aule che all’aperto.
Quando gli studi elementari erano terminati seguiva la scuola del grammaticus che può corrispondere alle nostre scuole medie e ai nostri licei o scuole superiori. Il grammaticus insegnava la storia, la geografia e la letteratura sia latina che greca. Poi si poteva proseguire la propria istruzione superiore nelle scuole di retorica e prepararsi per la vita politica e giudiziaria, imparando a parlare in pubblico.
Da queste scuole quindi si usciva conoscendo bene le due lingue fondamentali del mondo romano, il latino e il greco. E soprattutto si usciva istruiti e pronti per la vita pubblica. Le famiglie più abbienti mandavano spesso i loro figli a perfezionarsi all’estero, o in Grecia, specialmente ad Atene e a Rodi, o in Egitto, ad Alessandria, cioè i maggiori centri del mondo ellenistico. Solo con questa preparazione si poteva essere in grado di provvedere alle responsabilità che il mondo sociale romano richiedeva.
Un’annotazione: salvo alcuni casi, quasi mai si conoscono i nomi degli artisti romani. Più di tutto a Roma era importante il valore della Città e della sua magnificenza nei secoli, la forza del suo genio nella Storia: Roma Caput Mundi.